-“Vis grata puellae e violenza sessuale”

L'assenza di una reazione fisica della persona offesa nonché l'assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, non sono indici della c.d. vis grata puellis.

Lo ha chiarito la Terza sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza 13222 del 2 aprile 2024, che ha annullato una sentenza della Corte di appello di Palermo limitatamente agli effetti civili, con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile competente.

Questa pronuncia muove un altro importante passo in materia di tutela delle vittime di violenza sessuale, eliminando alcune criticità quanto all’applicazione pratica del consenso della donna all’atto sessuale.

La Corte d’Appello di Palermo, in riforma rispetto al Giudice di primo grado, aveva assolto l’imputato con revoca delle statuizioni civili, per i reati di cui agli artt. 81, 609 bis cp e per i reati di cui agli artt 582, 585 cp, consistiti nell’aver costretto la parte offesa a subire plurimi rapporti sessuali, in orario notturno, prima in una zona isolata, all’interno del proprio furgone e, successivamente, in un’abitazione nella sua disponibilità, approfittando del fatto di averle offerto un passaggio al rientro da una serata trascorsa in discoteca, a fronte delle rimostranze manifestate dalla persona offesa, che chiedeva di essere riaccompagnata a casa e avendole provocato delle ecchimosi, escoriazioni e lesioni personali.

La Suprema Corte non accoglie l’assunto richiamato dalla Corte d’Appello di Palermo della “vis grata puellae”, in base alla quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell’uomo (“Non si comprende poi quale rilievo probatorio e argomentativo abbia, nel contesto dell’apparato giustificativo della decisione impugnata, il riferimento alla vis grata puellae, a fronte di una problematica inerente ad un atteggiamento coercitivo o meno dell’imputato” (sent. Cit.).

La Corte non condivide stereotipi né orientamenti di vecchio stampo in forza dei quali agli effetti dell’art 519 c.p. (oggi 609bis) per violenza deve intendersi quella che pone il soggetto passivo in condizione di non poter opporre tutta la resistenza che avrebbe effettivamente voluta. In base a questa impostazione, non costituiva violenza quella necessaria a vincere la ritrosia naturale femminile, ossia la cd. Vis grata puellis. Anche la giurisprudenza di merito riteneva che la vittima dovesse opporre una strenua resistenza con tutti i mezzi e le forze consentite dalle sue condizioni, non sussistendo di contro il reato di violenza sessuale.

Oggi si sono approfondite la sensibilità e le conoscenze (anche da un punto di vista scientifico) in tema di violenze (di vario genere: in questa sede si sta parlando, in particolare, di quella sessuale). Si è acquisita una maggiore (non ancora totale) consapevolezza del fatto che a fronte di una violenza la vittima può reagire in modi diversi (fuggire, urlare e dimenarsi oppure rimanere impietrita e passiva, quasi con un atteggiamento paradossalmente accondiscendente). Certamente, anche per un principio di “logica”, laddove ci siano prove di un qualsiasi reato (a maggior ragione se si tratta di un reato contro la libertà personale quale è il reato di violenza sessuale), non si può onerare la persona offesa di reagire all’offesa.

Si condivide, pertanto, l’orientamento della più attuale giurisprudenza che (oltre a non aderire alla “vis grata puellae”), ritiene che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art 609bis c.p. non è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’inizio fino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta.

Nel caso in esame, la Suprema Corte di legittimità rileva che la Corte di merito non abbia confutato le argomentazioni del primo giudice, poste a sostegno della condanna né le abbiano analizzate, giungendo alla decisione sulla base di un iter logico-giuridico del tutto avulso dal percorso argomentativo seguito dal Giudice di primo grado. In particolare “La persona offesa ha anche riferito di essere rimasta sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali …. Ma anche quando, rimasta pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga. La tematizzazione di tali profili è del tutto estranea al tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, onde non può affermarsi che i giudici di secondo grado siano pervenuti alla riforma della sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della correttezza logica e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze degli atti” (sent. Cit.). 

 

 

 

 

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Unione civile e giudizio di rettificazione di sesso: declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 26 della L. 76 del 2016 e dell’art 70-octies, comma 5 D.P.R. 396/2000

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