Unione civile e giudizio di rettificazione di sesso: declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 26 della L. 76 del 2016 e dell’art 70-octies, comma 5 D.P.R. 396/2000
Con la sentenza 66/2024, depositata il 22.04.2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato, innanzitutto, “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione”.
Il Giudice del Tribunale ordinario di Torino, nel corso di un giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso introdotto ai sensi della L. 164/1982, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art 1, comma 26 della L. 20 maggio 2016 n. 76 in relazione agli artt. 2 e 3 Cost.
Per il giudice a quo, la norma citata, che dispone che “la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei due componenti dell’unione civile determina lo scioglimento dell’unione stessa” (dunque, senza prevedere la possibilità della sua conversione in matrimonio, previa dichiarazione congiunta delle parti e senza soluzione di continuità con il precedente vincolo), determina una disparità di trattamento rispetto all’ipotesi, del tutto speculare, in cui la transizione di genere sia inversa (cioè: da coppia in origine etero-sessuale e unita in matrimonio a coppia omosessuale e unita in unione civile): per questa ipotesi, infatti, l’art 1, comma 27 della legge cit. dispone che, “ove i coniugi abbiano manifestato personalmente e congiuntamente al giudice, nel corso del giudizio per rettificazione di sesso, la volontà di proseguire la loro relazione dando vita ad un’unione civile, alla rettificazione di sesso consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Giova premettere che, anche in questa sede, la Consulta ribadisce la differenza ontologica sussistente tra l’istituto del matrimonio (unione tra persone di sesso diverso, riconducibile, nella giurisprudenza costituzionale, all’art 29 Cost: sentenze n. 170 del 2014, punto 5.2 del Considerando in diritto; n. 138 del 2010, punto 9 del Considerando in diritto) e l’istituto dell’unione civile (ricondotta alle formazioni sociali di cui all’art 2 Cost, all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità: sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010).
Conseguentemente, “il vincolo derivante dall’unione civile produce effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti e, in parte, di estensione ridotta rispetto a quelli nascenti dal matrimonio e ricompresa nel più ampio spettro di diritti e obblighi da questo nascenti”. Conseguentemente, trattandosi di situazioni giuridiche diverse, “la questione relativa alla dedotta ingiustificata disparità di trattamento tra coppie coniugate ed unite civilmente non è pertanto fondata per l’obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto”.
In altri termini, la eterogeneità delle due situazioni giuridiche messe a confronto (matrimonio e unione civile), esclude di per sé il dubbio relativo al contrasto con l’art 3 Cost.
La Consulta ritiene, invece, fondato il dubbio di incostituzionalità relativo all’art 2 Cost.
La sentenza rileva che “L’unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri.
La coppia unita civilmente, in ragione dell’automatico scioglimento del vincolo (art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016), quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti previsto dalla legge n. 164 del 1982 (artt. 1 e 4), ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell’unione civile.
La evidenziata mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell’unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. Non senza considerare che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo”.
In sostanza, non si tratta di voler equiparare situazioni istituti differenti ma, piuttosto, garantire una tutela a un diritto cioè il diritto della persona alla propria identità, di cui la sessualità (e anche una eventuale scelta per una diversa sessualità) costituisce espressione.
In altri termini, i componenti dell’unione civile che abbiano manifestato la volontà di conservare il proprio rapporto anche dopo (e a prescindere dal) il cambiamento di sesso di uno dei due partner, andrebbero incontro a un vulnus, laddove venisse a verificarsi un evento traumatico nelle more tra la pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso (con lo scioglimento dell’unione civile) e la necessaria celebrazione di un nuovo matrimonio.
“Si tratta, nella specie, di dare contenuto al diritto inviolabile della persona di mantenere senza soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status, una volta condotto a compimento il percorso di affermazione della propria identità di genere, secondo principi di proporzione ed adeguatezza.
L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità.
Il rimedio deve garantire la tutela della personalità del singolo lungo il tempo, non altrimenti governabile dalle parti, strettamente necessario alla celebrazione”.
Tuttavia, avuto riguardo alle differenze ribadite nella presente pronuncia tra i due istituti del matrimonio e dell’unione civile, la Corte rileva che il rimedio non possa essere quello di omologare le due situazioni, estendendo allo scioglimento dell’unione civile l’effetto di automatica trasformazione in matrimonio (ex art 1,. Comma 27 L. 76/2016).
Il rimedio individuato dalla Consulta è quello della sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario affinchè le parti possano celebrare il matrimonio, sempre che le stesse 1) abbiano manifestato congiuntamente la loro volontà al giudice del procedimento di rettificazione entro l’udienza di precisazione delle conclusioni e 2) permangano in tale convincimento.
La durata della sospensione è stata individuata dalla Corte nel termine di 180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, termine mutuato dall’art 99 c.c., che prevede lo stesso termine per la celebrazione del matrimonio, con decorrenza dalle pubblicazioni.
Il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione con dichiarazione del giudice di sospensione limitatamente agli effetti dello scioglimento del vincolo, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione e sino al decorso del termine di centottanta giorni, procederà alla relativa annotazione.
Alla luce di tali rilievi, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede tale incombenza.