Malati di Alzheimer e pagamento della retta dell’RSA
Negli anni si sono susseguiti diversi pronunciamenti in materia (v., tra gli altri, ord. 28 novembre 2017, n. 28321, Cass., sez. 1, sent. 22 marzo 2012, n. 4558, Cass., Sez. lavoro, sent., 19 novembre 2016 n. 22776), l’ultimo dei quali è quello della Cass., sez. III, 18 maggio 2023, n. 13714.
Nei vari casi citati, ciò che maggiormente emerge è l’inesistenza di una scindibilità delle prestazioni.
Occorre premettere che la L. 833/1978 (legge di riforma del Servizio Sanitario Nazionale) ha previsto l’erogazione gratuita delle prestazioni per tutti i cittadini, da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
L’art 30 della L. 730 del 1983 ha poi esteso la portata di tale principio, stabilendo che gravassero sul Servizio Sanitario Nazionale anche “le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali”.
Fatti di causa: la fattispecie riguardava un marito che, nel dicembre 2007, presentava domanda di ricovero presso una Casa di riposo per la propria moglie, invalida al 100% e affetta anche da morbo di Alzheimer. La Struttura faceva sottoscrivere al marito e al figlio il contratto di ospitalità con “l’impegno a provvedere personalmente al pagamento di quanto dovuto”. Nel mese di aprile 2013, il marito dell’ospite, per il tramite del figlio, inviava una missiva alla Casa di Riposo dichiarando di revocare l’impegno assunto nel dicembre 2007.
Su ricorso della Casa di Riposo, il Tribunale di Padova ingiungeva con decreto al marito e al figlio della Signora, in quanto soggetti coobbligati, il versamento del dovuto a titolo di pagamento delle rette del ricovero erogato a favore della Signora.
Avverso tale decreto ingiuntivo proponevano opposizione gli intimati eccependo l’insussistenza dell’obbligo a loro carico del pagamento delle rette di ricovero, gravando il relativo onere esclusivamente sul Servizio Sanitario Nazionale e chiedendo in via riconvenzionale la restituzione delle somme versate a partire dal dicembre 2007 o in via subordinata la rideterminazione della quota di retta a carico della Signora in base all’ISEE a partire, comunque, dalla data dell’inserimento.
Il Tribunale di Padova rigettava l’opposizione, compensando integralmente le spese di lite.
Avverso questa sentenza, veniva proposto appello da parte del figlio dell’ospite, in proprio e quale erede del padre (marito della Signora), nel frattempo deceduto. La Corte d’Appello di Venezia, tuttavia, rigettava l’impugnazione confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Per tali ragioni, il figlio della Signora proponeva ricorso per Cassazione censurando con il primo motivo “la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di Servizio Sanitario Nazionale e prestazioni sanitarie …oltre che per violazione del cd. diritto vivente, formatosi in subiecta materia, come elaborato da questa Corte in diverse pronunce ….; in particolare, nella parte in cui la corte territoriale, pur avendo accertato che le prestazioni per cui è causa erano “prestazioni socio sanitarie ad elevata integrazione sanitaria”, non ha concluso per la gratuità delle prestazioni medesime, poste ex lege integralmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Osserva che, in presenza di plurime patologie invalidanti, le cure sociali ed alberghiere perdono la natura meramente assistenziale per diventare complementari e indissolubili con la prestazione sanitaria”.
La Corte ha ritenuto fondati i primi due motivi.
Motivi della decisione (Cass., sez. III, 18 maggio 2023, n. 13714).
Per la Corte, occorre distinguere tra prestazione sanitaria (a carico del Servizio Sanitario Nazionale) e prestazione socio-assistenziale pura (che, di per sé, richiederebbe una integrazione da parte del privato).
E’ possibile, però, che l’attività prestata a favore del soggetto sia comunque qualificabile come “attività sanitaria”, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione.
In altri termini, laddove le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite “se non congiuntamente” alle altre attività (di natura socio-assistenziale), prevale la natura sanitaria del servizio in quanto le altre prestazioni devono ritenersi “avvinte” alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla complessiva prestazione che deve essere erogata a titolo gratuito, una volta dimostrata la natura inscindibile e integrata della prestazione.
Nelle predette ipotesi, dunque, l’intervento sanitario – socio assistenziale rimane integralmente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema Sanitario pubblico, in quanto la Struttura convenzionata / accreditata garantisce all’assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato.
Al fine dell’accertamento del suddetto discrimen, occorre far riferimento alle condizioni del malato. In particolare, “Non rileva che fosse stato concordato o comunque previsto, per quel singolo paziente, un piano terapeutico personalizzato e neppure rileva la corretta attuazione di detto piano in conformità con gli impegni assunti verso il paziente o i familiari al momento del ricovero. Rileva che quel piano terapeutico personalizzato fosse dovuto, e che quindi sussistesse la necessità, per il paziente, in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l'aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l'evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi” (Cass. civ. sez III, n. 13714/2023).
Quali possono essere, dunque, gli scenari che si prospettano a fronte dell’orientamento di legittimità citato.
E’ possibile assistere, dunque, sulla base delle motivazioni summenzionate, al rigetto di eventuali ricorsi proposti dalle Case di Riposo al fine di ottenere, dai parenti dei ricoverati malati di gravi patologie (patologie neurodegenerative) una integrazione della retta.
Preferibile, pertanto, parrebbe (per le Strutture, anche su stimolo dei parenti), ponderare bene la possibilità di ottenere l’integrazione per la totalità delle prestazioni nei casi che lo ammettono.