Malasanità e tempi di prescrizione

Il primo problema da affrontare e risolvere quando ci si trova di fronte a un caso di malasanità (un errore, un’azione eseguita con imperizia o altre mancanze) è quello relativo ai tempi entro cui è possibile richiedere un risarcimento danni.

L’art 7 della L.  24 del 08.03.2017 (c.d. Legge Gelli Bianco) distingue espressamente tra responsabilità civile della struttura nella quale l’evento si verifica e quella dell’esercente la professione sanitaria che ha posto in essere la condotta, con alcune conseguenze sotto il profilo dei termini di prescrizione e dell’onere della prova.

Per quanto riguarda la struttura sanitaria, pubblica o privata, questa è tenuta a rispondere delle condotte dolose o colpose dei professionisti che vi operano ai sensi degli artt 1218 e 1228 c.c. E’ un’ipotesi di responsabilità contrattuale e il termine di prescrizione è fissato in 10 anni. Quanto all’onere della prova, spetta alla struttura l’onere di dimostrare l’inevitabilità dei danni riportati dal paziente.

Per quanto riguarda, invece, il professionista sanitario, si verte in tema di responsabilità extracontrattuale, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente (quindi: in assenza di contratto, la regola è la responsabilità extracontrattuale). Vale, in questo caso, l’art 2043 c.c. e i tempi di prescrizione si riducono a 5 anni. In questa ipotesi, spetta al paziente dimostrare, non solo il nesso causale tra condotta ed evento dannoso ma anche la colpa del sanitario.

La L. 24/2017 ha previsto l’obbligo per le strutture sanitarie pubbliche e private di dotarsi di copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi (art 10).

Il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti dell’impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa. L’impresa di assicurazione ha, poi, diritto di rivalsa verso l’assicurato nel rispetto dei requisiti minimi, non derogabili contrattualmente, stabiliti dal decreto di cui all’art 10, comma 6 (art 12).

Ciò brevemente detto in via generale in tema di responsabilità medica (della struttura e del sanitario), si torna alla domanda iniziale e, cioè, da quando inizia a decorrere il termine di 10 o 5 anni entro cui il paziente può richiedere un risarcimento.

In linea di principio, l’art 2935 c.c. afferma che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Quella del dies a quo del diritto al risarcimento del danno è una delle questioni su cui, negli anni, la giurisprudenza è maggiormente intervenuta, discostandosi gradatamente dal principio in base al quale la prescrizione dovrebbe incominciare a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, senza che tale decorrenza possa essere ostacolata da un mero impedimento di fatto, quale è l’ignoranza del titolare circa l’esistenza del diritto stesso.

Le prime deroghe si sono rinvenute nel campo dell’illecito extracontrattuale, con particolare riguardo al danno alla salute, ogni qualvolta la lungolatenza abbia come naturale conseguenza quella di far trascorrere un considerevole lasso di tempo tra la commissione del fatto illecito e il manifestarsi della lesione. Progressivamente però anche in campo contrattuale i giudici hanno incominciato a discostarsi dal principio assunto come generale, facendo decorrere il dies a quo non dall’inadempimento, ma dal momento in cui si è venuti a conoscenza del danno.

Con particolare riguardo all’art 2947 c.c. (diritto al risarcimento del danno da fatto illecito: termine di prescrizione), la giurisprudenza mostra da tempo di interpretare il termine “fatto” riferendolo non solo alla condotta dell’autore dell’illecito ma anche all’evento dannoso e al nesso causale che li lega, con la conseguenza che nelle ipotesi in cui tra condotta illecita e danno dovesse intercorre del tempo, il termine di prescrizione inizierebbe a decorrere solo al verificarsi di quest’ultimo. Già negli anni ’70 la giurisprudenza affermava che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il danno non solo si realizza, ma diviene anche oggettivamente percepibile e riconoscibile.

Questa giurisprudenza ha avuto largo seguito con i danni lungolatenti ove, inizialmente con riferimento ai danni alla salute, si è radicato il criterio che differisce il dies a quo al momento in cui sia possibile percepire il legame causale tra un evento dannoso e un determinato fatto illecito. L’orientamento è stato poi successivamente consolidato da una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, in cui, con riferimento ad un’ipotesi di contagio di una malattia per un fatto di un terzo (emotrasfusioni infette), il dies a quo è stato individuato nel momento in cui la malattia è stata percepita o avrebbe potuto essere percepita quale danno ingiusto causalmente riconducibile alla condotta dolosa o colposa, utilizzando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (Cass. S.S.U.U: 581/2008; negli stessi termini si pone anche la pronuncia, sempre a S.S.U.U. 576/2008).

Questa giurisprudenza ha avuto, poi, molto seguito.

Probabilmente sulla scia delle pronunce riguardanti il risarcimento a seguito di illecito extracontrattuale, anche con riguardo al diritto al risarcimento del danno da inadempimento ha inizato a farsi strada la tendenza a far coincidere il dies a quo della prescrizione con il momento in cui si è manifestato l’evento dannoso. Un ambito in cui tale orientamento si sta affermando è quello della responsabilità professionale, ove il termine viene fatto decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, ma da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, diventando oggettivamente percepibile e riconoscibile dal danneggiato, sulla base di un parametro di diligenza basato su standard obiettivi in relazione alla specifica attività svolta dal professionista.

Si legge, infatti, in numerose pronunce riguardanti la responsabilità contrattuale del medico (ante riforma Gelli-Bianco: v. Cacc. Civ. 12 dic. 2003 n.  18995) o della struttura sanitaria. Considerato, peraltro, l’orientamento consolidato in materia di danno alla salute da fatto illecito, non attribuire rilievo agli impedimenti di fatto si tradurrebbe in una maggiore o minore tutela del paziente a seconda che la fonte del risarcimento sia un illecito o un inadempimento contrattuale.

Concludendo, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale copra illustrato, si ritiene che per l’orientamento giurisprudenziale oggi maggioritario (e maggiormente favorevole alla vittima di malasanità poiché allunga, in alcuni casi anche notevolmente, i termini entro cui è possibile agire in giudizio per vedersi riconosciuto il proprio diritto ad ottenere un risarcimento del danno) il termine di prescrizione decorre non dal momento in cui la condotta colposa del medico ha determinato il fatto lesivo, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, diventando quindi oggettivamente percepibile da chi ha interesse a farlo valere.

Per la giurisprudenza (S.S.U.U. 576/2008) non è la semplice ignoranza del danneggiato sull’esistenza del danno da lui stesso patito a impedire il decorrere della prescrizione: assume rilievo l’oggettiva impercettibilità e irriconoscibilità del danno. E’ la sua mancata esteriorizzazione a impedire il decorrere della prescrizione.

In quest’ultima pronuncia si afferma che “Nei casi sopra citati (rectius, malattia contratta dal paziente per errori nelle procedure mediche) emerge peraltro come la Suprema Corte sia tendenzialmente incline a ritenere che il parametro della "conoscibilità del danno" debba necessariamente interpretarsi nel senso che, ai fini del decorso della prescrizione, non é sufficiente la mera consapevolezza della vittima di "stare male", bensì occorre che quest’ultima si trovi nella possibilità di apprezzare la "gravità" delle conseguenze lesive della sua salute anche con riferimento alla loro "rilevanza giuridica".

10.3. Tuttavia il solo modello ancorato al parametro della "conoscibilità del danno" può, in taluni casi, rilevarsi del tutto insoddisfacente e fuorviante: infatti, sviluppare una malattia irreversibile (ad esempio, un’epatite cronica) o comunque duratura, oppure trovarsi permanentemente menomati a livello di integrità psicofisica sono tutte situazioni che, se da un lato sostanziano la "conoscibilità del danno", dall’altro lato non necessariamente danno luogo alla "conoscibilità del fatto giuridicamente rilevante ai fini di un’azione risarcitoria", ovvero alla "conoscibilità del fatto illecito"; in tutta una serie di casi, infatti, la vittima, senza sua negligenza, si trova ad ignorare la causa del suo stato psicofisico o, al massimo, può sul punto formulare mere ipotesi, prive tuttavia di riscontri sufficientemente oggettivi anche ai fini dell’istruzione di una causa sul piano probatorio e certo tali da escludere che l’inattività della stessa possa esplicare effetti negativi sotto il profilo dell’interruzione della prescrizione.

Queste esigenze sono state recepite in un nuovo orientamento della Corte che ha ritenuto che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di avere contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell’art. 2947 c.c., comma 1, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all’altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Qualora invece non sia conoscibile la causa del contagio, la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non é idonea in sé a concretizzare il "fatto" che l’art. 2947 c.c., comma 1, individua quale esordio della prescrizione (Cass. 21/02/2003, n. 2645 ; Cass. 05/07/2004, n. 12287; Cass. 08/05/2006, n. 10493)”.

Da ultimo, l’ordinanza della Cass. 29760/2022  ha ancora confermato l’orientamento secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità medico-chirurgica decorre, ai sensi degli artt 2935-2947, comma 1, c.c., da quando “la malattia viene percepita o può esserlo, con l’uso dell’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo” (Cass., sez. III, 2013, n. 21715; S.S.U.U. 11 gennaio 2008, n. 576, 577, 578,579,580,581).

 

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