Il risarcimento del danno da vaccinazioni

La responsabilità civile del Ministero della salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria non è inquadrabile nell’ipotesi di cui all’art 2050 c.c. (responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) dal momento che non costituisce, di per sé, un’attività pericolosa ma va ricompresa nell’ambito dell’art 2043 c.c. Infatti, anche dopo il trasferimento alle Regioni di numerose competenze in materia, permane in capo al Ministero un ruolo generale di programmazione e di controllo del servizio di vaccinazione obbligatoria.

Il soggetto che ritiene di aver ricevuto un danno a seguito del vaccino anti SARS-Cov-2, quindi, potrà agire innanzitutto in giudizio per chiedere al Ministero della salute il risarcimento del danno per la condotta tenuta dal Ministero (per omessa vigilanza sulla sicurezza del prodotto).

In questo caso, l’onere probatorio sarà quello richiesto dall’art 2043 c.c.: quindi, sarà il danneggiato ad essere gravato dall’onere probatorio di tutti gli elementi della fattispecie, quindi, anche la prova dell’elemento soggettivo (in specie, la colpa nell’adozione delle misure di vigilanza cui il Ministero della salute è istituzionalmente tenuto).

Accanto al diritto al risarcimento del danno ex art 2043 c.c., il nostro sistema prevede un altro strumento di tutela, cioè l’indennizzo ex art 1, co 1 L. 210/1992 previsto per “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica”.

Va innanzitutto rilevato che questa tutela è stata via via progressivamente estesa grazie agli interventi della Corte Costituzionale. Infatti, dopo un iniziale momento, l’indennizzo è stato previsto anche per le lesioni derivanti da tutte quelle vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, sono fortemente “raccomandate” (in termini: Corte Cost. 118/2020; 268/2017). Questo vuol dire che, ai fini dell’indennizzo, non c’è più alcuna differenza tra obbligo e raccomandazione quanto alla vaccinazione.

Le vaccinazioni raccomandate sono quelle caratterizzate dalla presenza di diffuse campagne di comunicazione volte a ingenerare nella generalità dei consociati una fiducia e affidamento nella vaccinazione (raccomandata). In tal senso, la vaccinazione anti Covid-19, laddove non sia obbligatoria ma sia rimessa alla discrezionalità dei soggetti, rientra nella nozione di “vaccinazione raccomandata”.

Il summenzionato diritto al risarcimento del danno per il pregiudizio patito e l’indennizzo ex l. 210/1992 sono istituti profondamente diversi. Infatti, l’indennizzo reagisce a un fatto di per sé lecito, prescinde dalla colpa e ha natura assistenziale mentre il risarcimento presuppone una condotta illecita (l’illecito aquiliano) e ha una funzione compensativo-riparatoria. Per queste ragioni, è diverso il quantum: l’indennizzo è, di regola, inferiore al reale pregiudizio subito dal richiedente mentre il risarcimento, in virtù della sua funzione, cerca di essere uguale al danno (v. art 1223 c.c.). Alla diminuzione del quantum di tutela nell’indennizzo vi è un alleggerimento dell’onere probatorio, poiché il danneggiato è esonerato dal dover dimostrare la colpa del danneggiante: in capo ad esso, tuttavia, permane la prova del nesso causale fra la vaccinazione e la patologia. In particolare, applicando i criteri civilistici, la sussistenza del nesso causale deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica secondo il principio del “più probabile che non”.

Con riferimento alla vaccinazione contro il SARS-Cov2, è stata inserita una precisa previsione normativa all’art1 della l.210/1992 dal D.L. 4/2022 per cui l’indennizzo è ora espressamente dovuto anche nel caso di lesioni e infermità “dalle quali sia derivata una menomazione permanete dell’integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti SARS-Cov-2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana”. Tale previsione, comunque, non era necessaria dal momento che l’indennizzo si poteva comunque riconoscere alla luce della previsione di carattere generale, secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale.

Rimane da comprendere il rapporto tra i due rimedi. Infatti, la legge nulla dice se tale indennizzo si ponga in termini di alternatività (cioè, o l’uno o l’altro) oppure in termini di cumulo rispetto al rimedio aquiliano.

Sicuramente, se ricorrono gli estremi del danno ingiusto ex art 2043 c.c., il danneggiato ha diritto ad agire per il risarcimento del danno. In questo senso, la tutela indennitaria di cui all’art 1 l. 210/1992 non può essere interpretata nel senso di escludere la tutela aquiliana, pena il fatto di rendere non effettiva la tutela stessa con violazione dell’art 24 Cost. I due rimedi, dunque, non sono alternativi. Tuttavia, laddove in astratto ricorrano sia i presupposti per chiedere la tutela risarcitoria sia quelli per chiedere l’indennizzo, nel rapporto tra i due rimedi opera la compensatio lucri cum damno per evitare che il danneggiato esca dal pregiudizio patito arricchito anziché debitamente ristorato.

La compensatio, infatti, opera tipicamente nei rapporti bilaterali: si pensi al caso in cui il soggetto che causa il danno è lo stesso soggetto dal quale deriva il vantaggio. In questo caso, sicuramente opera l’istituto della compensatio lucri cum damno. Si pensi al caso del danno da trasfusione di sangue infetto: il danneggiato ha a disposizione due strumenti cioè l’azione risarcitoria volta alla riparazione del danno e il rimedio indennitario ex l. 210/1992: qual è il rapporto tra i due rimedi? Data la diversità sussistente tra risarcimento del danno e indennizzo sotto i vari profili sopra meglio individuati, non si pone un problema di cumulo: sono rimedi diversi, quindi sono si possono far valere entrambi. Non si può, tuttavia, cumulare il risarcimento del danno con l’indennizzo perché opera la compensatio. In tali termini, Cass. Civ., n. 6573/2013 secondo cui “Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l'indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno"), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo” (conformi, tra gli altri: Cons. Stato, Ad. Pl. , 23 febbraio 2018 n. 1; App. Torino, 12 maggio 2016 n. 786; Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008 n. 584).

Accanto alla responsabilità del Ministero della salute (ex art 2043 c.c.), viene in rilievo la responsabilità degli esercenti la professione sanitaria che abbiano effettuato la vaccinazione e delle strutture sanitarie in cui operano.

I medici (es. pediatra; medico di medicina generale), potrebbero essere ritenuti responsabili per la mancata informazione sui possibili effetti indesiderati legati all’assunzione del vaccino (ovviamente, nel caso in cui il vaccino sia raccomandato e non obbligatorio). Quanto al regime di responsabilità, la L. 24/2017 ha introdotto un doppio binario nel senso che la struttura sanitaria risponderà sempre a titolo contrattuale mentre il sanitario risponderà, in mancanza di contratto, a titolo di responsabilità aquiliana. Conseguentemente, il soggetto che abbia patito un pregiudizio a seguito della vaccinazione e sostenga di non essere stato debitamente informato dal medico in merito ai possibili effetti collaterali, ha due possibilità: egli potrà agire contrattualmente nei confronti della struttura sanitaria (soggetto sicuramente più solvibile) oppure potrà gire in via extra-contrattuale nei confronti del medico.

Infine, il produttore del vaccino potrà rispondere dei danni causati dalla vaccinazione ai sensi dell’art 2050 c.c. in quanto l’attività di importazione e commercializzazione dei farmaci è classificabile come attività pericolosa ex art 2050 c.c. Sotto tale aspetto, la Corte d’Appello di Milano ha recentemente affermato che “Le argomentazioni difensive dell'odierno appellante non sono conformi, a giudizio della Corte e confermando quanto già argomentato dal tribunale, ai principi in materia di prova liberatoria recentemente riaffermati dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 6587 del 07/03/2019 'Ai fini della prova liberatoria, idonea ad escludere la responsabilità ex art. 2050 c.c. per i danni conseguenti alla produzione e immissione in commercio di farmaci, l'impresa farmaceutica è tenuta a dimostrare di avere osservato, prima della produzione e immissione sul mercato del farmaco, i protocolli di sperimentazione previsti dalla legge, e di avere fornito un'adeguata informazione circa i possibili effetti indesiderati dello stesso, aggiornandola - se necessario - in relazione all'evoluzione della ricerca” (App. Milano, n.1353, 30.04.2021).

Peraltro, quanto alla natura della responsabilità ex art 2050 c.c., nell’interpretazione originaria (v. la Relazione al Codice Civile), è stata qualificata secondo il modello della responsabilità soggettiva per colpa presunta, con una precisazione: si è ampliato il contenuto del dovere di diligenza in capo a chi esercita l’attività”. Ciò vuol dire (Relazione) “che il soggetto deve adottare, anche a costo di sacrifici, tutte le misure idonee a evitare il danno”: dunque, la prova liberatoria per l’esercente l’attività è la prova di aver adottato tutte le misure soggettivamente (secondo la diligenza qualificata) idonee a evitare il danno.

Ciò detto, oggi la giurisprudenza tende a reinterpretare la fattispecie in esame come ipotesi di responsabilità oggettiva, secondo la logica dell’allocazione del rischio (per cui chi crea un rischio di un danno ne deve rispondere secondo la dottrina germanistica). Chi svolge attività pericolose ha un vantaggio e, quindi, deve accollarsi il rischio dei vantaggi che da quell’attività derivano.

Riqualificando la fattispecie in termini oggettivi la prova liberatoria quale sarà? Il nesso causale è elemento costitutivo della fattispecie (cioè: non si tratta di una fattispecie di responsabilità da mera posizione): quindi, il soggetto (produttore), per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare la mancanza del nesso causale. Egli, cioè, deve provare di aver adottato tutte le misure oggettivamente idonee a evitare il danno e, quindi, deve dimostrare la mancanza del nesso di causalità (prova assai difficile). In questo modo, il rischio è quello di disincentivare certe attività.

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