La Grazia presidenziale: solo un atto di clemenza o anche l’ultima possibilità, in certe situazioni, per evitare che la pena sia contraria al senso di umanità?
1. la vicenda
Nel settembre 2014, Carlo, un uomo, all’epoca, di 73 anni, aveva ucciso la propria sorella, con la quale aveva, da anni, rapporti tesi e caratterizzati da grande conflittualità. Entrambi non coniugati abitavano -da soli- in campagna, in due case frontestanti. L’uomo, di fatto incensurato, dopo l’ennesimo litigio, aveva imbracciato il fucile da caccia e sparato alla sorella, dopo di che aveva chiamato i carabinieri e aveva immediatamente confessato il fatto.
Condannato a 14 anni di reclusione, dopo aver trascorso un lungo periodo agli arresti domiciliari, quando la sentenza è diventata irrevocabile, è stato tradotto in carcere per scontare la pena residua. Pur avendo più di 70 anni di età, non ha potuto fruire della detenzione domiciliare “speciale” prevista per i condannati di tale età dall’art 47 ter ord. penit., perché da questo beneficio sono escluse espressamente le pene relative ai reati previsti dall’art 4-bis dell’ord. Penit., tra i quali è ricompreso il reato commesso in questo caso (l’omicidio). Unica possibilità per poter lasciare il carcere prima di aver trascorso il lungo periodo di pena necessario per poter accedere ai benefici “ordinari” dell’ordinamento penitenziario sarebbe stata quella di ottenere la sospensione della pena per motivi di salute (prevista dagli artt 147 e 148 c.p.)
Svariate istanze sono state avanzate facendo presenti le varie (e certe) patologie da cui era affetto l’uomo, ma non hanno trovato accoglimento perché si è ritenuto che quelle patologie potessero essere comunque curate in carcere.
La situazione generale di Carlo, nel mentre, è andata progressivamente degenerando. Oramai ottantenne, con gravissime problematiche cardiache e artritiche che gli rendevano anche difficile la deambulazione, la direzione dell’istituto penitenziario gli aveva assegnato un “piantone” e, cioè, un altro detenuto che aveva il compito di stargli vicino ed assisterlo giorno e notte.
Carlo è sempre stato un uomo mite e ben voluto dalla sua comunità (all’atto del processo di primo grado alcune centinaia di concittadini avevano firmato una petizione a suo favore) e, anche grazie alla profonda Fede, ha ben compreso l’enorme gravità del suo gesto. La sua sofferenza era aggravata dal fatto che sapeva che ben difficilmente avrebbe potuto rivedere da libero la sua terra.
2. La Grazia presidenziale
Ogni tentativo fatto per cercare di far sì che il precetto costituzionale che impone che le pene non siano contrarie al senso di umanità (ex art 27 Cost.) è risultato vano poiché l’art 47ter ord. penit. non è -oggettivamente- applicabile ai condannati per omicidio volontario. L’ultima possibilità rimasta era, dunque, quella di rivolgersi al Presidente della Repubblica chiedendogli di concedere la grazia ai sensi dell’art 87 Cost.
Con provvedimento in data 09.12.2021 il Presidente della Repubblica ha accolto la domanda concedendo una riduzione di pena di 1 anno e 4 mesi che, considerato il presofferto, ha consentito al condannato di avere una pena residua da scontare inferiore a 4 anni e, quindi, di poter -a quel punto- fruire dei benefici ordinari dell’ordinamento penitenziario. In effetti, valutato il nuovo fine pena e la correttezza del comportamento tenuto durante la detenzione, la Magistratura di Sorveglianza ha concesso l’affidamento in prova al servizio sociale e, così, Carlo ha potuto rivedere (finalmente) la sua terra!
3. L’eccezionalità della decisione del Presidente della Repubblica
La grazia è un atto di clemenza che ha natura eccezionale e che prende in considerazione la particolarità delle vicende individuali (l’amnistia, al contrario, è un atto di clemenza generale) e viene utilizzato per ovviare a situazioni di stallo, quando il prolungarsi della pena detentiva si appalesa in contrasto con la tutela dei diritti umani fondamentali.
Gli ultimi Presidenti della Repubblica hanno ridotto drasticamente le concessioni di grazia.
Il Presidente Mattarella, nei primi 6 anni, ha respinto 1869 domande e ne ha accolte solo 26. Nell’ultimo anno, il 09.12.2021, ne ha concesse altre 7, una delle quali ha interessato il caso di Carlo.
Peraltro, concedendo una riduzione di pena, ha solo consentito al condannato di poter essere sottoposto al giudizio dei competenti Magistrati di Sorveglianza, che hanno valutato la sua “meritevolezza” rispetto ai benefici penitenziari.
In questo modo, si sono contemperati nel modo più corretto “certezza della pena”, l’attribuzione alla Magistratura del tipo di pena più idoneo per quel condannato e il precetto costituzionale che prevede che la pena non sia contraria al senso di umanità. Un uomo ultraottantenne gravemente infermo e certamente non pericoloso e con un rischio di recidivanza inesistente, avrebbe sofferto, nelle sue condizioni, una pena sicuramente “disumana”.
4. Una riflessione
E’ giusto che in un caso come quello di Carlo si debba confidare solo in un istituto eccezionale quale la Grazia per poter avere una pena conforme all’art 27 Cost.?
La nostra Carta fondamentale, all’art 2, ci indica che i diritti inviolabili dell’uomo sono centrali e, in effetti, anche le pene (che nulla impone siano solo quelle carcerarie), “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e non a caso, all’ultimo comma dell’art 27, si rifiuta la pena di morte.
Ciò è un inequivoco segnale di come anche il responsabile del più grave dei delitti resti comunque sempre una persona che merita rispetto e un trattamento conforme al senso di “umanità” e che si deve tentare di rieducare.
La Magistratura di Sorveglianza ha il compito di modulare il tipo di sanzione più idoneo per ogni singolo condannato per poter concretizzare il precetto costituzionale.
Il nostro legislatore non ha il coraggio di dare piena attuazione a questi precetti costituzionali e ha evidentemente sfiducia nella Magistratura perché inserisce periodicamente (anche in norme processuali che, quindi, nulla hanno a che vedere con la gravità dei fatti commessi) reati “ostativi” all’applicazione di determinati istituti.
Allora, a un mite ottantenne, malato e non pericoloso, l’unica speranza di avere una pena (l’affidamento in prova ai servizi sociali o la detenzione domiciliari sono comunque pene), idonea alla sua persona e non comportante un trattamento “disumano” non resta che confidare nella saggezza del Presidente della Repubblica e nella sua “clemenza”. Ma ciò è avvenuto solo per 33 condannati nell’ultimo settennato ……!
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