Divorzio: quanto tempo serve prima di potersi risposare?
1. contesto normativo
Per i coniugi è possibile porre fine alla loro vita matrimoniale laddove non più rispondente alle proprie aspettative attraverso il procedimento di divorzio.
Prima di rompere definitivamente un matrimonio è stato fino ad oggi necessario procedere alla separazione consensuale o giudiziale. Si tratta di una sorta di passaggio intermedio necessario per consentire ai due coniugi di valutare in merito alla loro situazione familiare.
Tra le due fasi (di separazione e di divorzio) deve intercorrere un certo lasso temporale. L’art 3, L. 898/1970 (legge sul divorzio) richiede, infatti, ai fini della proposizione della domanda di divorzio che siano trascorsi almeno 12 mesi dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del tribunale, nella separazione e 6 mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita ovvero dalla data dell’atto contenete l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta.
Con riguardo al divorzio, si suole distinguere tra:
- domanda di scioglimento del matrimonio, contratto a norma del codice civile à se, a monte, vi era un matrimonio celebrato solo con rito civile nella Casa Comunale;
- domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio à se, a monte, vi era un matrimonio celebrato con rito concordatario celebrato dal Parroco o Ministro di Culto.
In entrambi i casi i presupposti che il Giudice dovrà accertare ai fini della pronuncia di divorzio sono l’impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi, ai sensi degli artt 1 e 2 l. 898/1970 e una delle cause di cui all’art 3 l. 898/1970.
In generale, è possibile per i due coniugi (già separati) in diversi modi, a seconda del rapporto che essi sono riusciti a mantenere nell’arco del tempo. Ovvero:
- Davanti al giudice, con un divorzio congiunto o con un divorzio disgiunto, al fine di ottenere una sentenza di divorzio ai sensi della legge 898/1970;
- Attraverso la negoziazione assistita, quindi con l’assistenza di due avvocati: questa modalità sicuramente mira a velocizzare le tempistiche perché permette di divorziare senza doversi recare in Tribunale con l’autorizzazione o nullaosta del Pubblico Ministero;
- Attraverso la procedura in comune: è la procedura sicuramente più economica che, però, rimane preclusa laddove si debbano prendere decisioni in merito all’affidamento dei figli.
2. la questione problematica
La questione che spesso interessa gli ex coniugi (divorziati) è quanto tempo debbano attendere prima di potersi risposare.
Sicuramente è possibile risposarsi ma la situazione tra l’uomo e la donna non è uguale. In questo, il nostro Codice, è ancora anacronistico.
Per l’ex moglie, infatti, vige ancora la regola del lutto vedovile (divieto temporaneo di nuove nozze), mentre l’ex marito non deve rispettare alcun vincolo.
Occorre indagare la ratio di quella che, a primo acchito, pare sembrare una discriminazione. La volontà del legislatore era tutelare e garantire la certezza della paternità nel caso in cui la donna rimanga incinta subito dopo aver divorziato.
L’ex marito può risposarsi dopo 30 giorni dalla notifica della sentenza di divorzio o dopo 6 mesi dalla sua pubblicazione. Se, invece, la sentenza viene impugnata da controparte, allora occorrerà attendere l’esito di tutti i gradi di giudizio.
L’ex moglie, invece, dovrà certamente attendere il periodo relativo al cd. “lutto vedovile” (almeno 300 gironi).foto
I riferimenti normativi sono gli artt 89 e 232 c.c.
La prima norma prevede che “Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall'annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all'articolo 3, numero 2, lettere b) ed f), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto di generare, di uno dei coniugi.
Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie, nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell'articolo 84 e del comma quinto dell'articolo 87(comma 2).
Il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata (comma 3)”.
L’art 232 c.c., rubricata “Presunzione di concepimento durante il matrimonio”, prevede che “Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente (comma 2).
Sono, pertanto, previste delle eccezioni e, cioè:
- quando vi è stata una separazione: quindi c’è stato un periodo intermedio (che un tempo era di tre anni: oggi le tempistiche, con il divorzio breve, si sono ridotte).
- quando vi è stata pronuncia di annullamento a causa dell’impotenza di uno dei coniugi:, quindi se il matrimonio non è stato consumato.
3. la sanzione?
Cosa succede se il cd. Lutto vedovile non è rispettato?
In caso di mancata osservanza dei 300 giorni l’art 140 c.c. non prevede la nullità del nuovo matrimonio ma solo una sanzione pecuniaria per i nuovi sposi e per l’ufficiale che celebra il matrimonio (sanzione dell’ammenda da 20 a 82 euro).
Tale sanzione risulta poco efficace per il quantum della misura.